Rivalutazione dei titoli partecipativi: l’elusione fiscale tramite le operazioni c.d. circolari

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

L’affrancamento delle partecipazioni risulta, sia in generale che in casi frequenti nella pratica professionale (rivalutazione che ha ad oggetto società che hanno accumulato riserve di utili), un’operazione che non può essere tacciata di abusività: questo, nello specifico, considerando che il vantaggio fiscale insito nella vendita dei titoli con valore fiscale rideterminato viene appositamente “ricercato” tramite la norma in esame. Vi sono però anche le operazioni “circolari”, che possono invece presumibilmente (e ordinariamente) ritenersi elusive, non dando luogo ad effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali – come anche affermato dall’Amministrazione finanziaria in diversi documenti di prassi nel corso degli ultimi anni.

Considerando la ratio normativa della rivalutazione delle partecipazioni societarie, non si può generalmente ritenere che tale operazione, a cui segue la compravendita del titolo affrancato, possa dare luogo ad abuso del diritto. Ciò, peraltro, anche in casi piuttosto frequenti, come ad esempio la rideterminazione del costo fiscale di azioni o quote in società il cui patrimonio è composto (anche in prevalenza) da riserve di utili prodotte nel corso tempo. Nelle ipotesi di rivalutazione, infatti, il beneficio fiscale ottenuto dal contribuente – riduzione o azzeramento della plusvalenza sulla cessione della partecipazione – risulta perfettamente in linea con la volontà del legislatore che, tramite la disposizione de qua, ha voluto incentivare la circolazione dei titoli (grazie al ridotto carico impositivo che vi si correla in caso di compravendita).

Va però notato come vi siano particolari operazioni, c.d. circolari, che devono invece ritenersi senza dubbio elusive. E questo non solamente nell’ambito della disciplina sulla rivalutazione delle partecipazioni: in generale, infatti, le operazioni circolari sono quelle in cui:

  • a fronte di una determinazione situazione iniziale,
  • dopo il perfezionamento di una o più operazioni poste in essere si ritorna, di fatto, alla stessa condizione di partenza.

Fatta eccezione per la produzione, ad esito dei negozi che hanno avuto luogo, di un determinato vantaggio fiscale per il contribuente; vantaggio che, evidentemente, rappresenta lo “scopo reale” dell’operazione (dal momento che il contesto di riferimento si è detto essere immutato in seguito ai vari avvenimenti).

Per inquadrare la questione si può fare riferimento alla risoluzione n. 99/E del 27/07/2017, la quale, in seguito all’entrata in vigore della disposizione generale antielusiva (di cui all’art. 10-bis della Legge 212/2000), ha preso in esame una fattispecie che aveva a che fare con la disciplina dell’assegnazione agevolata degli immobili ai soci, ex art. 1, commi da 115-120 della Legge 208/2015. Nello specifico, dopo aver illustrato uno stato dei fatti iniziale in cui una società deteneva un immobile utilizzato direttamente – quindi astrattamente non rientrante nella disciplina agevolativa in esame – si riportava la volontà della stessa entità di conferire la propria azienda in una società neocostituita (partecipata dai propri stessi soci), facendo sì che l’immobile non risultasse più strumentale, per concederlo in locazione alla medesima società neocostituita. In questo modo, si sarebbe certamente potuto assegnare l’immobile ai soci, con successivo scioglimento della società conferente e assegnazione ai soci della partecipazione nella newco.

Risulta quindi chiaro come, nel caso di cui alla risoluzione del 2017, si sia di fronte ad un costrutto negoziale che porta, infine, a riprodurre esattamente la situazione di partenza. Il tutto, però, con possibilità, fra le altre cose – ma per quanto solamente di interesse – di fruire del beneficio rappresentato, nel caso specifico, dall’assegnazione agevolata dell’immobile. Senza potersi quindi dubitare che si tratti di un’ipotesi di abuso del diritto.

Vi sono poi stati casi nei quali la stessa “circolarità” delle operazioni è stata riscontrata con riferimento alla rivalutazione delle partecipazioni. Una prima casistica è quella del principio di diritto n. 1 del 29/01/2019, in cui alcune società (veicolo) venivano utilizzate per acquisire le azioni di una società quotata, sia sul mercato che dai soci di maggioranza: questi ultimi, in seguito, riacquisivano gli stessi titoli attraverso ulteriori società, tramite immissioni di denaro che davano luogo al beneficio ACE. Beneficio che rappresentava, in ultima analisi, lo scopo dell’operazione tramite la quale gli iniziali soci della quotata tornavano ad essere i titolari delle relative quote azionarie.

Altro principio di diritto è il n. 20 del 23/07/2019, nel quale quattro soci di un veicolo societario procedevano con la rideterminazione del costo fiscale dei propri titoli per poi cederli ad una diversa società, partecipata solamente da uno degli stessi soci, che poi incorporava il veicolo (con pagamento del corrispettivo per la cessione dei titoli mediante la liquidità ottenuta ad esito della fusione). In tale ipotesi pare evidente che, almeno con riferimento alle partecipazioni inizialmente detenute dal socio in questione, all’affrancamento non consegue alcuna effettiva circolazione delle partecipazioni – senza che vi sia quindi aderenza col proposito legislativo di cui alla disciplina in questione.

Nello stesso anno vi è poi stato il caso della risposta a interpello n. 341 del 23/08/2019, inerente ad una riorganizzazione familiare delle partecipazioni societarie tramite costituzione di un’entità, partecipata solamente dai soci “di seconda generazione”, in cui tutti i soci dello società target avrebbero fatto confluire i propri titoli, cedendoli a seguito di affrancamento. Successivamente, la società di nuova costituzione avrebbe proceduto con una fusione inversa, venendo incorporata dalla stessa target, facendo in modo che residuassero nella compagine societaria solamente i soci di seconda generazione. Questi ultimi, quindi, di fatto cedevano le proprie partecipazioni nella società (poi) incorporante a sé medesimi (seppur per il tramite di una diversa società).

Diversamente, con la risposta n. 537 del 24/12/2019 l’Agenzia delle Entrate ha esaminato, considerandolo “complessivamente” non elusivo, il caso di una holding che cedeva la propria partecipazione in una società controllata ad un’altra propria controllata, rendendo quest’ultima una subholding, per poi scindersi a favore di due ulteriori entità detenute dagli iniziali soci – i quali avrebbero separatamente avuto il controllo del gruppo. Nonostante la riportata legittimità (fiscale) del negozio interamente considerato, l’autorità fiscale esprime qualche perplessità, per evidenti motivi, sull’iniziale compravendita di partecipazioni rivalutate da parte di una società indirettamente partecipata dagli stessi cedenti.

Tuttavia, a fronte di un 2019 che, nonostante diversi documenti di prassi particolarmente (ma giustamente) rigidi rispetto a fattispecie ritenute abusive, di fatto “chiude bene” con la richiamata risposta a interpello della vigilia di Natale, il 2020 si è dimostrato meno favorevole per i contribuenti. Quanto detto considerando in particolare la risposta a interpello n. 242 del 05/08/2020, simile al caso della precedente risposta 341/2019 e che vedeva alcuni soci di una società a responsabilità limitata costituire una società alla quale venivano cedute le partecipazioni detenute da tutti i quotisti della stessa Srl, in modo che alcuni di essi potessero fuoriuscire dalla compagine senza recedere. Altro caso in cui, anche se solo con riferimento ai soci definiti “superstiti” (ossia rimasti tali nella società neocostituita ad esito dei vari atti), viene rintracciata l’elusività della condotta.

La successiva risposta n. 89 del 08/02/2021 si pone invece lievemente in discontinuità con le casistiche di cui sopra, trattando un caso in cui una Spa procedeva con l’acquisto di azioni proprie – dai relativi soci evidentemente – i quali avevano previamente proceduto con la relativa rivalutazione. In questo modo, a parere dell’autorità fiscale, i soci avrebbero “aggirato” la disposizione sul recesso dalla società; considerazione, quest’ultima, rispetto alla quale pare però opportuno obiettare, in primo luogo, come il recesso non possa in ogni caso essere posto in essere “ad libitum” da parte dei soci, bensì solamente nelle ipotesi specificamente previste dal codice civile, non risultando quindi perfettamente sovrapponibile rispetto alla concatenazione negoziale illustrata.

Si può quindi notare, in conclusione, come tutte le fattispecie esaminate nei citati documenti amministrativi – fatta salva forse solamente quella relativa all’acquisto di azioni proprie – abbiano in comune la riconducibilità (talvolta anche solo parzialmente) dei titoli, prima affrancati e poi ceduti, agli stessi soggetti che hanno posto in essere la rideterminazione dei relativi valori fiscali. Motivo per cui, nonostante quanto sostenuto da una parte della stampa – che afferma una diametrale (e apodittica) non abusività delle operazioni di rivalutazione “di per sé” considerate, argomentazione che si riduce irrimediabilmente in un cortocircuito logico – non si può negare che si tratti di ipotesi nelle quali risulta (se non altro) assente il finalismo insito nella disposizione sulla rivalutazione delle partecipazioni, ossia la relativa circolazione sul mercato. La quale ultima non può evidentemente avere luogo nel caso in cui venga posta in essere una “cessione a sé stessi”.

Via libera, invece, da parte dell’Amministrazione finanziaria, a tutte le fattispecie in cui l’affrancamento, con successiva cessione delle quote o azioni, avviene a beneficio di soggetti diversi dagli – o, comunque, non riconducibili agli – iniziali cedenti. Come avviene, ad esempio, nella risposta a interpello n. 4 del 05/01/2021, in considerazione della natura concretamente realizzativa dell’operazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, in linea con la ratio della norma in discussione.

Altra ipotesi di “semaforo verde” è riscontrabile nella risposta n. 741 del 21/10/2021, nella quale venivano poste in essere alcune operazioni fra una persona fisica e i propri figli. Operazioni in cui rientravano anche alcune vendite di partecipazioni rivalutate ma che, inserite in un contesto di passaggio generazionale, si configuravano come meramente prodromiche ad un negozio complessivo (più ampio) indubbiamente non caratterizzato dall’abuso delle norme fiscali.