Le ultime indicazioni dell’Amministrazione Finanziaria hanno riacceso i dubbi, mai sopiti, che accompagnano il Superbonus, sin dalla sua entrata in vigore. In tal senso la risposta all’interpello n. 5 del 7 gennaio 2022, avente ad oggetto le modalità di determinazione della prevalente natura residenziale dell’edificio, ripropone il tema dei requisiti oggettivi funzionali all’ottenimento dell’agevolazione.
Con una risposta sorprendente, in contrasto con la precedente indicazione della Direzione Regionale Lombarda (interpello n. 904-2305/2021) secondo la quale le pertinenze devono seguono la natura dell’immobile a cui sono asservite, nell’ultimo intervento l’Amministrazione Finanziaria ha affermato che ai fini della verifica della natura residenziale dell’edificio non vada conteggiata la superficie catastale delle pertinenze delle unità immobiliari di cui si compone. Un cambio di rotta, carente di una qualsivoglia giustificazione, che pone nuovamente la questione al centro del dibattito: la natura residenziale dell’edificio condominiale costituisce una condizione indispensabile?
Facciamo un passo indietro. Ai fini degli interventi su parti comuni degli edifici in condominio l’articolo 119 del DL Rilancio non prevede che l’immobile oggetto dell’intervento debba avere natura residenziale o prevalente tale. Dalla disposizione normativa, infatti, si evince esclusivamente che l’intervento di isolamento termico debba interessare almeno il 25 per cento della superficie lorda dell’edifico, come per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti centralizzati dove il riferimento, ancora una volta, è l’edificio genericamente inteso. Lo stesso può affermarsi ai fini Sisma-bonus, agevolazione mai subordinata alla natura dell’edificio sul quale si esegue l’intervento di recupero edilizio.
A prevedere il requisito della residenzialità per la prima volta è stata l’Amministrazione Finanziaria nella Circolare n. 24/E dell’8 agosto 2020. Secondo l’Agenzia delle Entrate, in caso di interventi realizzati sulle parti comuni di un edificio, le relative spese possono essere considerate, ai fini del calcolo della detrazione, soltanto se riguardano un edificio residenziale considerato nella sua interezza. Qualora la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell’edificio sia superiore al 50 per cento, è possibile ammettere alla detrazione anche il proprietario e il detentore di unità immobiliari non residenziali (ad esempio strumentale o merce) che sostengano le spese per le parti comuni. Se tale percentuale risulta inferiore, è comunque ammessa la detrazione per le spese realizzate sulle parti comuni da parte dei possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio. Da qui la definizione tanto cara all’Amministrazione Finanziaria di “interventi su parti comuni di edifici residenziali in condominio”.
Attenzione alle parole utilizzate dall’Amministrazione Finanziaria, prima e dopo l’entrata in vigore del Superbonus. Tutto nasce da un fraintendimento di fondo. Nell’affermare il proprio principio, l’Amministrazione Finanziaria richiama la Circolare 19/E del 2020, guida alla dichiarazione dei redditi delle persone fisiche relativa all’anno d’imposta 2019, nella quale vengono approfondite, fra le altre, le detrazioni per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 16-bis, comma 1, lettera a), del TUIR. Nella circolare 19/E del 2020, infatti, l’Amministrazione Finanziaria specificava che “in caso di interventi realizzati sulle parti comuni di un edificio, le relative spese possono essere considerate, ai fini del calcolo della detrazione, soltanto se riguardano un edificio residenziale considerato nella sua interezza. Qualora la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell’edificio sia superiore al 50 per cento, è possibile ammettere alla detrazione anche il proprietario e il detentore di unità immobiliari non residenziali che sostengano le spese per le parti comuni. Se tale percentuale risulta inferiore, è comunque ammessa la detrazione per le spese realizzate sulle parti comuni da parte dei possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nel medesimo edificio (Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 3.2)”.
L’Amministrazione Finanziaria afferma lo stesso principio, ma in un contesto assolutamente non comparabile. A differenza del Superbonus, nel quale la norma tace, la detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 16-bis del Tuir prevede espressamente che le opere di recupero del patrimonio edilizio debbano essere realizzate su parti comuni di edifici espressamente residenziali. Ne consegue, pertanto, che le indicazioni dell’Amministrazione Finanziaria valgono per l’articolo 16-bis, ma non per il Superbonus. Conclusione dalle solide basi che non confligge nemmeno con i requisiti soggettivi dell’articolo 119 del DL Rilancio e, in particolare, con la necessità che il beneficiario corrisponda con il condomino. È tale anche quello dell’unità non residenziale.
Un dettaglio di non poco conto sul quale, probabilmente, vi è stata troppa tolleranza, anche da parte degli operatori del settore. Un aspetto sul quale costruire un dibattito prima che sia la giurisprudenza a farlo.