Dura la vita dei soggetti che si pongono quali cessionari nelle operazioni di cessione del credito o sconto sul corrispettivo realizzate ai sensi dell’articolo 121 del DL n. 34 del 2020. Come se non fosse stata sufficiente l’emanazione del DL Anti-frodi, l’Amministrazione Finanziaria ha eseguito la mossa decisiva nella partita dei controlli che verranno. Commettendo un errore.
Secondo le disposizioni dell’articolo 121, comma 5, del DL Rilancio, qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle Entrate provvede nei confronti dei beneficiari al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante. Il recupero di tale importo, maggiorato degli interessi di cui all’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e delle sanzioni di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, è esteso, in presenza di concorso in violazione, al fornitore che ha applicato lo sconto e ai cessionari che hanno acquistato il credito.
Una tutela rilevante che va ben oltre gli effetti previsti dal solo articolo 9 del Decreto Legislativo n. 472 del 1997. La predetta disposizione, infatti, si limita a disciplinare il mero aspetto sanzionatorio e prevede che quando due o più soggetti concorrono in una violazione, ciascuno di essi soggiace alla sanzione per questa disposta. Senza l’appendice del citato comma 5 dell’articolo 121, in condizioni ordinarie, il soggetto imputato di aver concorso nella violazione avrebbe risposto della sola sanzione. Nel caso di specie, al contrario, per espressa previsione normativa è disposta, a tutti gli effetti, una responsabilità solidale per imposta ed interessi.
Sin dalla sua introduzione, se l’acquisto fosse avvenuto in buona fede, è stato chiarito che ai fini del controllo i fornitori ed i soggetti cessionari, anche in caso di violazioni di natura sostanziale, avrebbero risposto solo dell’eventuale utilizzo del credito di imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto alla quota ricevuta ed accettata. Sul punto l’Agenzia delle Entrate affermava che “i fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto. Pertanto, se soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta” (Circolare n. 24/E del 2020, paragrafo 9).
Pertanto, almeno inizialmente, la linea fissata dall’Amministrazione Finanziaria, su una questione tanto delicata quanto rilevante ai fini del buon esito dell’intera operazione, era quella di salvaguardare il cessionario che avesse acquistato il credito in buona fede, ovvero ignoro dell’atteggiamento di chi si prestava a trasferire il credito. Il suo coinvolgimento era dichiaratamente previsto solo nel caso, piuttosto grave, di concorso in violazione.
Questa rappresentava una visione rassicurante. La fattispecie in commento richiede quattro distinti elementi: la presenza di una pluralità di soggetti agenti che agiscano in forma coordinata fra loro, la realizzazione comune di una fattispecie illecita, il contributo di ciascuno alla realizzazione della fattispecie, l’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza di violare espressamente una norma imperativa. Con riferimento all’elemento soggettivo, in particolare, esso deve essere inteso secondo una concezione che vada oltre la mera cooperazione colposa, ma deve configurarsi in un comportamento doloso.
Tuttavia, non soddisfatta, l’Amministrazione Finanziaria nella nota Circolare n. 16/E del 2021 ha affermato chiaramente che i cessionari ed i fornitori che acquistano il credito a fronte del contributo sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, non solo devono esimersi dal concorrere alla violazione, ma sono tenuti a ricorrere all’ordinaria diligenza richiesta per evitare la partecipazione a condotte fraudolente. Andando oltre i confini della norma e le sue stesse indicazioni, l’Agenzia gioca la sua mossa e tenta di estendere il campo delle responsabilità.
Nel contesto in cui è richiamata, l’ordinaria diligenza presuppone una complessiva attività del cessionario del credito finalizzata alla dimostrazione diabolica della propria estraneità al tentativo di frode o, più banalmente, alla violazione tributaria commessa. Significa dimostrare di aver fatto quanto è nelle proprie possibilità e di aver adottato tutte le misure ragionevoli in proprio potere per verificare la regolarità dell’operazione. Significa effettuare controlli che vadano oltre la mera formalità della comunicazione inviata ai sensi dell’articolo 121 e la conseguente accettazione del credito ricevuto. Significa provare di non essere stato a conoscenza del fatto, che in realtà non erano state soddisfatte le condizioni legali previste per l’agevolazione, o di non essersene potuto rendere conto, pur facendo prova di tutta la diligenza impiegata. In altri termini, significa accollarsi un onere probatorio non indifferente.
Facendo tesoro dell’insegnamento delle numerose pronunce emesse in tema di frodi “carosello”, nelle quali è stato chiaramente affermato che incombe sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di fornire la prova della frode, il ragionamento dell’Agenzia non regge di fronte alla norma. Tornando al predetto articolo 121, comma 5, esso prevede la responsabilità solidale per l’imposta esclusivamente nel caso in cui vi sia un accertato concorso in violazione, ovvero la dimostrazione che il cessionario abbia dolosamente collaborato a commettere la frode. Il tentativo di ribaltare i criteri che regolano il regime di prova, addossando al cessionario la dimostrazione di essere estraneo alla frode, eccede chiaramente i limiti imposti dalla norma che vuole la sua responsabilità nel caso in cui sia parte dell’illecito. Per questo motivo è possibile affermare che, se è estraneo all’illecito tributario commesso, la cui prova è a carico dell’Amministrazione Finanziaria, il cessionario è del tutto sollevato dalle conseguenze della violazione, sia per sanzioni che per imposta. È tutt’altro che un problema di diligenza.