Doveva mettere la parola fine ai dubbi relativi all’emendabilità ultrannuale della dichiarazione dei redditi, ma l’odierna versione dell’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, regolamento recante le modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, rischia di alimentare inconcepibili contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Al punto di rimpiangere i tempi in cui la differenza di trattamento fra Fisco e contribuente era incolmabile, almeno dal punto di vista normativo.
Come dimenticare i tempi in cui per il contribuente la dichiarazione era emendabile, ma non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, mentre per l’Amministrazione Finanziaria questa era rettificabile secondo la tempistica, ben maggiore, prevista dall’articolo 43 del DPR n. 600 del 1973. Un anno contro cinque. Fu necessario un’encomiabile attività giurisprudenziale, che frappose due orientamenti contrapposti per lungo tempo, per riequilibrare una situazione divenuta nel tempo insostenibile. Dal quel dibattito, infatti, nacque la norma oggi in vigore.
A decorrere dal 3 dicembre 2016, modificato dall’articolo 5 del Decreto Legge del 22/10/2016 n. 193, la disposizione venne finalmente rettificata, equiparando i termini previsti per la dichiarazione integrativa, in entrambi i casi coincidenti con quelli fissati l’esercizio del potere di accertamento, stabiliti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Raggiunta la parità delle armi la disposizione fu integrata prevedendo che, nel caso in cui la dichiarazione oggetto di integrazione a favore sia presentata oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, il scaturente credito può essere utilizzato in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa. A tal fine, inoltre, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa è indicato il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa, nonché l’ammontare eventualmente già utilizzato in compensazione.
La norma oggi in vigore fissa due regole. La prima, di carattere sostanziale, che limita le possibilità di compensazione dei crediti relativi alle dichiarazioni integrative ultrannuali ai soli debiti maturati a decorrere dal periodo di imposta successivo al suo invio. La seconda, di carattere formale, che impone la riportabilità del credito nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.
La norma, che salvaguardia in ogni caso la possibilità per il contribuente di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito, nel risolvere un problema, quello relativo alla disparità di trattamento in tema di emendabilità, ne sta creando uno ancora più grande. Secondo una diffusa interpretazione degli uffici locali dell’Amministrazione Finanziaria sembra essersi creata una strana abitudine. Escludendo i casi in cui la dichiarazione integrativa ultrannuale consegua alla correzione di un errore contabile relativo alla competenza di una componente di reddito, fattispecie espressamente esentata dall’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, in tutti gli altri casi in cui il contribuente riporti erroneamente il credito emergente dalla correzione nella dichiarazione relativa all’annualità successiva rispetto a quella emendata, invece di indicarlo nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa, in molti casi l’Agenzia delle Entrate nega la spettanza del credito. Non per questioni sostanziali, ma per la violazione di una disposizione formale secondo la quale il credito deve essere riportato in una dichiarazione piuttosto che in un’altra.
Sgombriamo il campo dai fraintendimenti. La correttezza sostanziale non può essere sacrificata sull’altare delle formalità. Indipendentemente da come esso venga riportato, se il credito che scaturisce da una dichiarazione integrativa ultrannuale esiste, questo non può essere negato per il solo fatto che non sia stato adeguatamente rappresentato.
Ad essere sanzionato, al massimo, potrà essere l’utilizzo fatto di quel credito. In caso di violazione sostanziale della predetta disposizioni, ovvero qualora il credito sia utilizzato per compensare debiti antecedenti, le eventuali conseguenze devono limitarsi all’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 471 del 1997 nei casi di violazioni in materia di compensazione di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti.