CFP Perequativo, gli strani effetti dell’adeguamento agli ISA

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

In un sistema tributario estremamente complesso quale quello italiano, inevitabilmente ogni adempimento che si fonda su valori dichiarati in precedenza diventa un vero e proprio campo minato, ricco di variabili. Non fa eccezione, anzi, ne è massima testimonianza, il contributo a fondo perduto perequativo, il cui meccanismo è ormai chiaro, ma che sottoposto alla prova dei conteggi dimostra tutte le sue criticità.

In precedenza ci siamo occupati degli effetti distorsivi che derivano dal fatto che per i contribuenti forfettari, e solo per essi, nella determinazione dei risultati economici del 2019 e del 2020 – da porre a confronto per la verifica del calo di almeno il 30% – rilevi anche la contribuzione obbligatoria (vedasi Fondo perduto perequativo: per i forfettari effetti distorsivi connessi alla contribuzione).

Oggi vogliamo occuparci di un altro aspetto, per il quale forse non è del tutto corretto parlare di effetti distorsivi, quanto piuttosto di conseguenze paradossali, che devono indurre ad una seria riflessione sull’opportunità di procedere con la presentazione delle istanze (quando ciò sarà possibile, visto che a tutt’oggi non è stato approvato il contenuto dell’istanza, né sono stati definiti i termini di presentazione della stessa).

Similarmente a quanto avvenuto in occasione dell’analisi compiuta con riferimento ai contribuenti forfettari, il problema trae origine dai righi da prendere a riferimento nell’effettuare il confronto tra i risultati di esercizio 2019 e 2020 – Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 227357 del 4 settembre 2021 – che, indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla tipologia di soggetto (persona fisica, società di persone o di capitali) comprende sempre anche l’ammontare dell’eventuale adeguamento spontaneo agli indici sintetici di affidabilità fiscale, laddove applicabili.

Da un certo punto di vista l’impostazione adottata dall’Agenzia appare ragionevole: procedendo all’adeguamento, infatti, il contribuente ha fatto emergere materia imponibile sia ai fini delle imposte dirette che ai fini IVA, andando di fatto ad incrementare i ricavi/compensi dell’anno interessato e, di conseguenza, il risultato dell’esercizio.

Si pongono, tuttavia, due problemi, uno di opportunità, e l’altro di merito; quest’ultimo, in particolare, potrebbe rivelarsi sostanziale ai fini della corretta compilazione del modello di istanza e conseguente determinazione del contributo spettante.

Quanto al primo aspetto, quello di opportunità, si resta inevitabilmente perplessi quando ci si imbatte in casi, affatto rari, nei quali il contribuente ha effettuato un adeguamento spontaneo agli ISA per quanto riguarda il 2019, mentre per il 2020 tale adeguamento non è stato eseguito, vuoi perché il risultato ISA era insoddisfacente ma, vista l’annualità particolare, si è ritenuto comunque di non adeguare, vuoi perché l’ISA poteva risultare inapplicabile in ragione delle motivazioni straordinarie introdotte alla luce dell’emergenza epidemiologica.

Sul punto è bene ricordare che in sede di modello Redditi 2021, anno d’imposta 2020, sono state introdotte ben tre nuove cause di esclusione di applicazione dagli ISA:

  • contribuenti che hanno subito una diminuzione dei ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e), ovvero dei compensi di cui all’articolo 54, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, di almeno il 33% nel periodo d’imposta 2020 rispetto al periodo d’imposta precedente;
  • contribuenti che hanno aperto la partita IVA a partire dal 1° gennaio 2019;
  • contribuenti che esercitano, in maniera prevalente, le attività economiche individuate dai codici attività riportati in allegato alle istruzioni alla parte generale modelli ISA. Si tratta dei contribuenti che esercitano in via prevalente un’attività identificata nella tabella allegata al DM 2 febbraio 2021 oppure nell’allegato 12 al D.M. 30 aprile 2021; ben 167 codici ATECO che vanno a rappresentare i settori maggiormente colpiti dal Covid e dalle conseguenti restrizioni: commercio, ristorazione, agenzie di viaggio e tour operator, servizi alla persona, settore spettacolo e molti altri ancora.

Quale che sia la causa del mancato adeguamento nel 2020, occorre comunque riflettere e, a parere di chi scrive, tenere conto anche della storia del contribuente. Con quale tranquillità, infatti, si può richiedere un contributo a fondo perduto perequativo a fronte di dati che, talora, vanno ad evidenziare che i ricavi certificati nel 2019 e nel 2020 sono rimasti pressoché invariati, ma risulta comunque uno scostamento dovuto al solo fatto che nel 2019 si è proceduto a adeguamento (magari di importo molto consistente), mentre nel 2020 tale adeguamento non è stato effettuato? Nel fare queste riflessioni, è bene non fingere di ignorare il fatto che vi sono contribuenti “affezionati” all’adeguamento, cui sistematicamente ricorrono per “aggiustare il conti” a fine anno, mentre i ricavi certificati restano costantemente di importo modesto, ma questa “affezione” è evidentemente venuta meno per il 2020.

In estrema sintesi, se il risultato del 2020 è inferiore a quello del 2019, in misura tale da poter accedere al perequativo, solo perché nel 2020 è assente la variabile adeguamento, è legittimo richiedere il contributo a fondo perduto? La risposta è che certamente la richiesta di contributo è legittima, ma tutt’altro discorso è dire che sia opportuna, visto che in questi casi ci si potrebbe trovare in “pole position” per un accertamento fondato proprio sulla verifica dei dati esposti nell’istanza finalizzata al CFP perequativo.

Vi è poi un secondo aspetto che lascia perplessi, con riferimento al quale ci si augura che le istruzioni di compilazione dell’istanza forniscano indicazioni precise.

Il CFP perequativo si basa sui risultati di esercizio, mentre i precedenti si basavano sulla variabile fatturato/corrispettivi. Ebbene, se il risultato di esercizio tiene conto anche dei maggiori ricavi o compensi indicati in dichiarazione a seguito di adeguamento spontaneo, appare legittimo domandarsi se dell’ammontare dei ricavi (ex art. 85 comma 1 lettere a) e b) del TUIR) o dei compensi (ex art. 54 comma 1 del TUIR) del secondo periodo d’imposta antecedente a quello di entrata in vigore del decreto Sostegni bis, rilevante ai fini della percentuale applicabile, debba tenere conto o meno di tale adeguamento.

Infatti, se da un lato la descrizione della variabile parrebbe far propendere per l’irrilevanza dell’adeguamento, visto il riferimento agli articoli del TUIR, è altrettanto vero che con l’adeguamento spontaneo sono proprio quei ricavi o compensi “tipici” a venire incrementati, per espressa scelta del contribuente. La questione non è di poco conto poiché, laddove rilevasse l’adeguamento, il contribuente potrebbe ricadere in una diversa fascia percentuale di determinazione del contributo, con conseguenze in ordine alla corretta compilazione dell’istanza e sul contributo riconosciuto.