L’attuazione delle misure preventive di contrasto alle frodi in materia di cessione del credito agitano professionisti e contribuenti. Il riferimento, nello specifico, è ai nuovi poteri di cui dispone l’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 122-bis del Decreto Legge n. 34 del 2020. Potere che, secondo le prime applicazioni operative, sembra essere esercitato oltre i limiti della legittimità.
La predetta disposizione conferisce all’Amministrazione Finanziaria la possibilità di sospendere, per un massimo di trenta giorni, gli effetti delle comunicazioni trasmesse ai sensi degli articoli 121 e 122 del DL Rilancio, al fine di effettuare un controllo preventivo in merito alla spettanza dei benefici fiscali trasferiti. Sulla base dei profili di rischio individuati utilizzando i criteri di coerenza indicati nella stessa disposizione istitutiva, l’Agenzia delle Entrate ha il potere sostanziale di determinare l’esito della comunicazione, facendola fallire. Secondo il Provvedimento attuativo del 1° dicembre 2021, infatti, se in esito alle verifiche effettuate sono confermati gli elementi che hanno determinato la sospensione, l’Agenzia delle Entrate rende noto l’annullamento degli effetti della comunicazione al soggetto che l’ha trasmessa, con la relativa motivazione, e la comunicazione si considera non effettuata.
Entrando nel merito della procedura, che almeno formalmente non prevede un contraddittorio fra le parti e la possibilità per il contribuente di chiarire la propria posizione, il procedimento di preventiva sospensione della comunicazione rischia di trasformarsi in una barriera all’ingresso. Ideata in maniera eccessivamente semplicistica, l’esito del controllo apre due scenari, entrambi problematici.
Avviandoci dal presupposto della spettanza dell’agevolazione e della regolarità sostanziale della procedura, da un lato il contribuente potrebbe tentare nuovamente di inviare la comunicazione, nuova trasmissione che, tuttavia, potrebbe restare nuovamente incagliata nelle maglie del controllo.
Dall’altro, agli estremi, lo stesso contribuente potrebbe prendere atto dell’esito e decidere di ricorrere in Commissione Tributaria. Questa seconda soluzione, che sconta i tempi troppo lunghi della giustizia tributaria, è una possibilità del tutto atipica rispetto all’ordinaria attività espletata dalle commissioni di merito. Benché l’impugnabilità degli atti tributari sia formalmente scollegata dall’elencazione, non certo tassativa, dell’articolo 19 del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, risultando decisiva l’autosufficienza del suo contenuto sul piano della enunciazione, ancorché stringata, dei presupposti fattuali e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva, la ricevuta telematica mediante la quale l’Amministrazione Finanziaria comunica gli esiti del controllo viene resa disponibile all’intermediario e non, come dovrebbe essere, al contribuente. Questo, infatti, può essere l’unico destinatario di un atto dal contenuto sostanziale così rilevante, sicuramente impugnabile in presenza dell’assoluto interesse da parte del contribuente.
È possibile affermare, pertanto, come l’intero procedimento soffra di due difetti. Il primo, nella parte in cui non è previsto un contraddittorio fra le parti e la possibilità per il contribuente, e per il suo intermediario, di produrre documentazione decisiva ai fini della valutazione. In questo senso, almeno fino ad oggi, qualsivoglia richiesta dell’Amministrazione Finanziaria avviene al di fuori di un procedimento e delle correlate garanzie per il contribuente. Tutto, necessariamente, viene compresso in un orizzonte temporale, trenta giorni, troppo breve per essere adeguato alle esigenze di cui trattasi.
Il secondo difetto, conseguenza del primo, consta nel coinvolgimento del solo intermediario chiamato ad apporre il visto di conformità. Il procedimento di controllo descritto, per la gravosità dei suoi effetti, deve coinvolgere il contribuente, unico responsabile della spettanza dell’agevolazione. In questo modo, al contrario, l’intermediario fiscale, invece di rispondere delle sole conseguenze del visto apposto infedelmente, è chiamato in ballo in una relazione che, sull’aspetto sostanziale, dovrebbe vederlo quale parte terza.