Puntuale come ogni anno, con la notifica delle lettere di compliance da parte dell’Amministrazione Finanziaria aventi ad oggetto l’omessa compilazione del quadro RW, si ripropone il tema del ravvedimento delle violazioni commesse ai sensi dell’articolo 4 del Decreto Legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito con modificazioni dalla Legge 4 agosto 1990, n. 227 in tema di monitoraggio fiscale. Sul punto, infatti, rimane ancora irrisolta la questione relativa alla corretta determinazione del regime sanzionatorio nella fattispecie di omessa o infedele rappresentazione delle attività finanziarie e degli investimenti detenuti all’estero, nei casi di comunione e comune intestazione.
È noto come la violazione dell’obbligo di dichiarazione previsto dalla predetta disposizione normativa sia punito con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati, sanzione raddoppiata se la violazione si riferisce alla detenzione di investimenti o di attività estere di natura finanziaria negli stati o territorio a regime fiscale privilegiato (articolo 5, comma 2, del Decreto Legge n. 167 del 1990). È irrogata una sanzione, ben più leggera (258,00 euro), nel caso in cui la dichiarazione integrativa pervenga entro novanta giorni dal termine previsto per la trasmissione delle dichiarazioni dei redditi.
Ricordando che, a tal fine, l’invio della dichiarazione dei redditi nei termini ordinari costituisce il presupposto fondamentale affinché le violazioni da quadro RW siano ravvedibili ai sensi dell’articolo 13 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 mediante, appunto, la trasmissione della dichiarazione integrativa, secondo l’Amministrazione Finanziaria la sanzione collegata all’omessa o irregolare compilazione del quadro RW è rapportata all’intero valore non dichiarato delle attività finanziaria interessate dall’obbligo, anche se le stesse siano detenute in comunione o siano cointestate a più soggetti. Tanto emerge dalle lettere di compliance notificate nelle settimane passate dall’Agenzia delle Entrate.
La determinazione della sanzione minima edittale, che costituisce la base di calcolo del ravvedimento operoso e sulla quale viene determinata la decurtazione prevista dal predetto articolo 13 Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, rappresenta un problema di assoluta rilevanza, soprattutto alla luce della rinnovata sensibilità che, almeno nelle intenzioni, l’esecutivo ha recentemente speso verso il principio di proporzionalità delle sanzioni rispetto alla gravità delle violazioni commesse, mostrata dal Governo negli emendamenti presentati al disegno di Legge delega per la riforma fiscale. Determinare la sanzione per omessa compilazione del quadro RW, rapportandola al complessivo valore dell’investimento o dell’attività finanziaria detenuto all’estero, benché il contribuente ne possegga solo una parte, travalica ampiamente i limiti di proporzionalità. La sanzione, infatti, andrebbe a colpire una quota di investimento, comunque riconducibile ad altri soggetti, che mai costituirà per il contribuente fonte di reddito imponibile secondo l’ordinamento domestico.
Proprio in considerazione del principio di proporzionalità la tesi avanzata dall’Amministrazione Finanziaria non può considerarsi sostenibile. Partiamo dal presupposto che il nostro ordinamento tributario già afferma principi di proporzionalità, benché in maniera insufficiente, senza farne un principio generale. Ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo n. 472 del 1997 “qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”. Secondo la Corte di Cassazione, intervenuta sul tema, il trattamento sanzionatorio deve essere sempre commisurato all’effettivo pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta tenuta in relazione all’esercizio di un’efficace azione di controllo (da ultimo Cass. n. 1693 del 2022).
Principio, al contrario, ampiamente sviluppato in ambito comunitario. In più occasioni la Corte di Giustizia Europea in tema di imposte armonizzate ha affermato che al fine di valutare se la sanzione irrogata sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (C-272/2013, C-499/2013).
Orbene, l’articolo 5, comma 2, del Decreto Legge n. 167 del 1990 collega la sanzione proporzionale all’ammontare degli importi non dichiarati, senza nessuna ulteriore specifica. Ne dovrebbe conseguire che ad assumere rilevanza sia la sola quota detenuta o comunque riconducibile al soggetto dichiarante, ovvero quanto emerge dalla complessiva dichiarazione contenuta nel quadro oggetto della presente analisi.
In altri termini dovrebbe assumere rilevanza ai fini della determinazione della sanzione minima edittale quanto emerge dalla complessiva redazione del quadro RW, e non quanto indicato in un singolo rigo, semplicemente perché potrebbe risultare fuorviante. Il quadro RW, in particolare, si compone di due caselle essenziali. La prima, rigo RW1 colonna 8, nella quale riportare il valore dell’attività detenuta; la seconda, RW1 colonna 5, nella quale indicare la quota di possesso, in percentuale, dell’investimento situato all’estero. Secondo le istruzioni ministeriali, la logica alla base della compilazione del quadro dedicato al monitoraggio fiscale presuppone, nella sua rappresentazione, una scissione degli elementi che compongono l’investimento. Questo deve essere indicato nel suo valore lordo, indipendentemente dalla quota di possesso, inserita solo successivamente insieme agli altri elementi, quali il numero di giorni di detenzione rilevanti ai fini della determinazione dell’IVAFE dovuta. Considerare solo il rigo RW 1, colonna 8, come vorrebbe l’Amministrazione Finanziaria, è del tutto fuorviante, nonché irragionevole.