La trappola dell’Agenzia delle Entrate è sempre in agguato e il contribuente resta ancora una volta incagliato. Dopo aver atteso per settimane la possibilità di cessione del credito d’imposta maturato sulle spese relative all’anno 2022, procedura attivata solo nei primi giorni di febbraio, dopo oltre un mese dalla prima occasione utile di trasferimento, l’Amministrazione Finanziaria dimentica nuovamente di allineare le proprie procedure all’evoluzione del contesto. Questa volta ad essere lasciata indietro è la possibilità di cessione delle rate residue.
Come noto l’opzione di cessione del credito d’imposta può essere esercitata anche per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese sostenute negli anni 2020, 2021, 2022, 2023, 2024 e 2025. L’opzione, che si riferisce a tutte le rate residue e ha natura irrevocabile, rappresenta un’opportunità di monetizzazione per il contribuente che decide, almeno inizialmente, di detrarre le prime quote di detrazione direttamente in dichiarazione dei redditi.
Secondo le disposizioni del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 febbraio 2022, ultimo in ordine temporale in tema di cessione del credito, la cessione delle rate residue, da esercitarsi mediante la medesima comunicazione dell’opzione relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica, deve essere inviata entro il 16 marzo dell’anno di scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui avrebbe dovuto essere indicata la prima rata ceduta non utilizzata in detrazione. Termine che, solo per le spese sostenute nel 2020, è stato prorogato al 29 aprile 2022 dalla recente conversione del Decreto Sostegni-ter.
A titolo di esempio questo significa che il contribuente che abbia sostenuto nel 2020 spese rilevanti ai fini del Superbonus, recuperabili in 5 anni, possa cedere le ultime tre quote spettanti, quelle che sarebbero state recuperate nelle dichiarazioni presentate nel 2023, 2024 e 2015, entro il 16 marzo 2023, ovvero entro il termine del 16 marzo dell’anno in cui sarebbe stata indicata in dichiarazione la prima rata non fruita oggetto di cessione.
Il provvedimento attuativo, nel disciplinare modi e tempi della cessione avente ad oggetto le rate residue, fissa esclusivamente il termine ultime entro il quale è necessario, a pena di inefficacia della stessa comunicazione, esercitare l’opzione di trasferimento. Motivo per il quale non sembrerebbero esservi limiti oggettivi rispetto al momento iniziale a decorrere dal quale tale opzione sia esercitabile. In particolare non vi dovrebbero essere dubbi in merito alla possibilità per il contribuente che abbia sostenuto spese nel 2020 per un intervento di recupero edilizio di cui all’articolo 16-bis del TUIR di cedere, già nel corso del periodo d’imposta 2022, le 8 quote residue della detrazione spettante, quelle del periodo 2023-2031, ovvero l’importo della complessiva agevolazione al netto delle quote detratte direttamente nelle dichiarazioni per i periodi 2020 e 2021.
Sotto tale profilo, Poste Italiane in primis, già consentono di monetizzare le quote residue secondo l’esempio illustrato. Possibilità, tuttavia, che rimane sulla carta nel momento in cui il contribuente, pur legittimato, è impossibilitato nell’invio della comunicazione a causa del mancato aggiornamento del software ministeriale.
Questo atteggiamento, non il primo, è intollerabile. Le modalità di attuazione delle disposizioni dell’articolo 121 del DL Rilancio, demandate all’Amministrazione Finanziaria, parte in causa del procedimento di cessione, non possono né devono divergere rispetto al testo normativo. Il comma 7 del predetto articolo conferisce all’Agenzia delle Entrate l’onere di definire le modalità attuative, comprese quelle relative all’esercizio delle opzioni, non certo di dettare un nuovo e differente calendario degli invii. Un abuso della norma che determinerà ritardi e, inevitabilmente, ulteriore confusione.