Chi ha tempo non perda tempo: l’impugnazione tempestiva dell’avviso bonario

Studio SalvettaArchivio, Fiscal Focus

Le disposizioni del nuovo articolo 12, comma 4-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 riportano in auge l’impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità mediante le quali, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del DPR n. 600 del 1973 dell’articolo 54-bis del DPR n. 633 del 1972, l’Amministrazione Finanziaria avvia formalmente l’attività di controllo cartolare delle dichiarazioni dei redditi e la successiva riscossione.

Un tema per lungo tempo accantonato e applicato solo in casi marginali, conosce oggi una nuova vita in ragione delle limitazioni alla libera impugnabilità dei ruoli e delle cartelle di pagamento che si assumono, per qualsivoglia ragione, invalidamente notificate. Queste, infatti, mettono a nudo, nuovamente, tutta l’inadeguatezza del processo tributario nella gestione degli atti della riscossione.

Come noto la disposizione in commento irrompe sull’orientamento consolidatosi nel corso degli ultimi anni avente ad oggetto l’impugnazione della cartella e/o del ruolo che non sia stata validamente notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione.

Secondo l’odierna normativa, in particolare, l’articolo 19, comma 3, Decreto Legislativo n. 546 del 1992, che consente l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato, non costituisce l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza esclusivamente per i casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del DPR n. 602 del 1973 o per la perdita di un beneficio nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Solo in questi casi resta ferma la possibilità di far valere in anticipo l’invalidità del provvedimento. In tutti gli altri casi l’impugnazione dell’atto prodromico ritenuto non correttamente notificato potrà avvenire solo alla ricezione dell’atto successivo.

Le limitazioni in commento evidenziano il limite principale dell’odierno processo tributario. Gli atti in materia di riscossione non possono godere delle disposizioni dell’articolo 68 del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992 secondo le quali il pagamento dei tributi in pendenza del processo debba avvenire in maniera frazionata secondo i risultati del procedimento e il suo stato di avanzamento. In caso di impugnazione di un atto della riscossione, salvo che venga disposta la sospensione degli effetti dell’atto impugnato ai sensi dell’articolo 47 del predetto Decreto Legislativo, la riscossione integrale degli importi contestati, ma non ancora divenuti definitivi, era una piaga già nota ai difensori tributari. Le limitazioni di cui all’articolo 12, comma 4-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 non fa altro che aggravarne gli effetti, rinviando per le fattispecie commentate il primo momento utili dal quale il contribuente può, efficacemente, opporsi all’azione esecutiva.

Per questo motivo, ancora una volta, chi ha tempo non perda tempo. Quando l’attività di recupero trova la propria genesi nelle comunicazioni di irregolarità citate in premessa, è necessario considerare come queste, i cosiddetti “avvisi bonari”, costituiscono un atto autonomamente impugnabile. In quanto atto con il quale l’Amministrazione ha portato a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitante le sottese ragioni fattuali e giuridiche, ancorché non indicato nell’elencazione riportata all’articolo 19 del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, l’avviso bonario è un atto meritevole della tutela giudiziaria.

Questo principio, ampiamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, pone le sue basi sulla natura non tassativa del predetto articolo 19, condizione che non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, diversi da quelli elencati, ove con gli stessi l’Amministrazione Finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche (Cass. 31922 del 2021, Cass. 3375 del 2018). Non si tratta di un obbligo, bensì di una facoltà (Cass. 3315 del 2016) mediante la quale il contribuente, ben prima di ricevere la cartella di pagamento, può anticipare gli effetti cagionevoli della conseguente attività esecutiva in tutti i casi in cui questa non viene opposta per tempo. La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal citato Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 19 citato non determina, infatti, la non impugnabilità di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992 (Cass. n. 13536/2020).

Una facoltà, appunto, poco sfruttata fino ad oggi, nonostante i chiari segnali lanciati dalla Suprema Corte di Cassazione nel corso degli ultimi anni. Impugnare la comunicazione di irregolarità consente di anticipare di svariati mesi la cartella di pagamento e, di conseguenza, avere minori probabilità di subire gli effetti cagionevoli di una riscossione che non viene automaticamente sospesa dall’impugnazione, né da essa limitata.