La richiesta del contributo a fondo perduto perequativo ingenera diversi dubbi operativi tra i professionisti intenti nelle domande da presentare entro il termine del 28 dicembre.
Sulle pagine del nostro quotidiano, già all’indomani del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 4 settembre scorso, prot. n. 227357/2021, con il quale venivano indicati i campi delle dichiarazioni fiscali cui far riferimento per valutare la sussistenza della contrazione del risultato economico d’esercizio, rilevavamo che il contributo di cui all’articolo 1, commi 16-27, del D.L. n. 73 del 25 maggio 2021 difficilmente sarebbe spettato agli esercenti attività agricole per i particolari regimi di determinazione del reddito che adottano. Si veda l’articolo Contributo perequativo quasi impossibile in agricoltura.
In particolare, con riferimento a ditte individuali e società semplici agricole titolari di reddito agrario, nonostante l’esplicito richiamo dell’articolo 1 del decreto “Sostegni-bis” ai soggetti titolari di partita IVA che producono reddito agrario, affermavamo che per questi particolari contribuenti sarebbe stato pressoché impossibile invocare l’aiuto in questione.
Difatti, in tutti i casi in cui si svolgono attività che producono reddito agrario, la determinazione del reddito è di carattere forfetario, non assistendosi ad una determinazione analitica del reddito che tenga conto di ricavi e costi. Al fine della valutazione del peggioramento del conto economico, i contribuenti in questione devono comparare i redditi catastali agrari imponibili risultanti dal quadro A, in caso di presentazione del modello 730, ovvero dal quadro RA in caso di presentazione del modello redditi. Se i terreni coltivati sono gli stessi nel biennio 2019/2020 e non ci siano state nel 2020 né variazioni di coltura che abbiano determinato una riduzione dei redditi catastali, né cessioni di parte dei terreni, è impossibile documentare un decremento reddituale. Per non parlare di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali che, quand’anche si sia verificata una delle predette condizioni, non potrebbero comunque dimostrare il peggioramento poiché il reddito agrario, non concorrendo alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi per il periodo 2017-2021 in virtù dell’articolo 1, comma 44, della legge 232/2016, è pari a zero in entrambi gli anni. Per i soggetti in argomento, invece, il decremento reddituale potrebbe sussistere ove le predette qualifiche siano state conseguite nel 2020 sebbene l’attività agricole fosse esercitata già in precedenza.
Contemporanea titolarità di reddito agrario e di reddito d’impresa o lavoro autonomo – Uno dei dubbi operativi che sta creando maggiori difficoltà nella richiesta del contributo a fondo perduto perequativo attiene alla fattispecie in cui, nel contempo, ricorrono titolarità di reddito agrario e di reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Si pensi, a titolo esemplificativo, al professionista o all’artigiano che sia proprietario di un appezzamento di terreno ereditato. Nella predetta ipotesi, difatti, si pone il problema di quali redditi comparare per i due periodi d’imposta interessati al fine di valutare la sussistenza del peggioramento del risultato economico d’esercizio.
Per poter dirimere la questione, occorre comprendere se il contribuente titolare di reddito agrario, oltre all’attività professionale o d’impresa, svolge anche attività agricola ovvero se la titolarità di reddito agrario discende dalla mera detenzione del diritto reale sui terreni.
Ai fini fiscali, il contemporaneo esercizio dell’attività agricola sussiste allorquando, al numero di partita IVA del soggetto, è associato almeno uno dei codici Ateco che identificano le attività di agricoltura, silvicoltura e pesca di cui alla sezione A della tabella in vigore dal 2007 denunciato all’Amministrazione Finanziaria secondo le disposizione dell’articolo 35 del D.P.R. n. 633/1972.
Se il contribuente svolge anche attività agricola che determina reddito agrario, ai fini dei calcoli, deve comparare per ciascuno degli anni in questione il risultato della somma del reddito agrario e del reddito d’impresa o di lavoro autonomo.
Se, al contrario, la titolarità del reddito agrario è legata esclusivamente alla titolarità del diritto reale, ma non sussiste alcun esercizio di attività agricola secondo quanto sopra illustrato, ai fini dei calcoli rileva il solo reddito d’impresa o di lavoro autonomo.
D’altra parte non vi può essere lettura differente se si considera che l’articolo 1, comma 16, del D.L. n. 73/2021 riserva il contributo in argomento a «tutti i soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione o che producono reddito agrario, titolari di partita IVA…». Al fine della rilevanza del reddito agrario, pertanto, devono contemporaneamente concorrere la relativa titolarità e la titolarità di partita IVA per una delle attività agricole che, per l’appunto, determinano reddito agrario.
Ciò, peraltro, risulta confermato dall’Agenzia delle Entrate nella guida predisposta alla fruizione del beneficio laddove specifica che «per quanto riguarda la determinazione dei due importi del risultato economico d’esercizio relativi agli anni 2019 e 2020, occorre considerare tutte le attività d’impresa, professionali e agrarie esercitate e fare riferimento agli specifici campi delle dichiarazioni dei redditi validamente presentate». Il richiamo dell’Agenzia alla nozione di attività conferma la correttezza di questa interpretazione.