In attesa della pubblicazione del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che dovrà stabilire modalità e termini di presentazione delle istanze telematiche finalizzate al riconoscimento del contributo a fondo perduto perequativo, è possibile cominciare ad effettuare i conteggi necessari, per valutare l’accesso al contributo e la sua convenienza.
Condizione di accesso al CFP perequativo è l’aver subito una flessione reddituale nella misura minima del 30% nel 2020 rispetto al 2019, così come stabilito dal Decreto MEF firmato il 12 novembre 2021, emanato in osservanza di quanto previsto dall’articolo 1 del decreto Sostegni-bis, D.L. n. 73/2021, che ai commi da 16 a 24 delinea il contributo qui in esame.
Nell’effettuare questa prima verifica preliminare occorre aver chiaro quali siano i valori da porre a confronto, e fortunatamente non vi sono incertezze, posto che a stabilire quali righi dei dichiarativi debbano essere presi in considerazione ha provveduto l’Agenzia delle Entrate, con il Provvedimento n. 227357 del 4 settembre 2021 (vedasi Fondo perduto perequativo: stabiliti i righi di riferimento per il calo reddituale).
Dall’analisi dei suddetti righi è possibile rilevare alcune particolarità; su una, nello specifico, vogliamo qui accentrare l’attenzione, ovvero sul fatto che per i contribuenti in regime forfettario il riferimento è al rigo LM 36 colonna 1, che corrisponde al cd. “reddito lordo”, ovvero ai componenti positivi moltiplicati per il coefficiente di redditività (variabile a seconda dell’attività esercitata) al netto dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Quanto sopra, per quanto possa in prima battuta sembrare strano, trae fondamento nella norma stessa che statuisce la determinazione del reddito in capo ai forfettari. Infatti, la legge 23 dicembre 2014, n. 190, all’articolo 1, comma 64, espressamente prevede che la determinazione del reddito imponibile avvenga applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività applicabile a seconda dell’attività esercitata, e che i contributi previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico, ovvero, se non fiscalmente a carico, qualora il titolare non abbia esercitato il diritto di rivalsa sui collaboratori stessi, si deducono dal reddito.
Certo è che la circostanza che i contributi previdenziali ed assistenziali concorrano – nel solo caso dei contribuenti in regime forfetario – a determinare la base di calcolo del contributo a fondo perduto perequativo, può determinare curiosi effetti distorsivi e generare disparità tra soggetti aderenti al regime agevolato rispetto a soggetti che invece determinano il reddito secondo i criteri ordinari.
Un semplice esempio potrà aiutare a meglio comprendere: ipotizziamo il caso di un professionista iscritto alla gestione separata, che ha aperto partita IVA nel 2019.
Tale soggetto nel 2019 ha conseguito un reddito lordo professionale pari a 22.000 euro (emergente dal quadro RE nel caso di determinazione ordinaria del reddito, oppure da LM nel caso di regime forfettario – quale risultato dell’operazione compensi percepiti x percentuale di redditività).
Ipotizziamo inoltre che nel 2020 lo stesso professionista abbia conseguito un reddito lordo professionale pari a 18.000 euro, anche in questo caso emergente dal quadro RE nel caso di determinazione ordinaria del reddito, oppure da LM, se forfettario (nota bene: reddito lordo, ovvero ante contributi previdenziali).
Ebbene, ai fini del contributo perequativo la diversa impostazione tra regime ordinario di determinazione del reddito e regime forfettario fa davvero la differenza, e ciò dipende dalla contribuzione INPS. Sul reddito del 2019, infatti, il contribuente è stato chiamato a versare, nel 2020, a titolo di saldo contributi INPS gestione separata il 25,72% di 22.000 euro, pari ad euro 5.658 (oltre che gli acconti dovuti per il 2020, che in questa fase per semplicità tralasciamo, ma che andrebbero ad ulteriormente rafforzare l’effetto paradosso oggetto della presente simulazione).
Andando ad affrontare i conteggi, possiamo verificare che:
- nel caso di determinazione del reddito secondo le modalità ordinarie, occorre confrontare i risultati emergenti dal quadro RE (per la precisione, il rigo RE21 colonna 3), e quindi per il 2019 euro 22.000 e per il 2020 euro 18.000 (i contributi INPS, infatti, vengono esposti separatamente quale onere deducibile nel quadro RP). Il peggioramento del risultato di esercizio è quindi pari a 4.000 euro, e come tale insufficiente per accedere al perequativo, in quanto non risulta soddisfatta la condizione di intervenuta diminuzione di almeno il 30% (il reddito 2020 dovrebbe essere, al massimo, euro 15.400, pari a 22.000 euro – 30%);
- se, invece, lo stesso contribuente è in regime forfettario, i valori da confrontare sono diversi. Infatti, per il 2019 resta fermo il valore di 22.000 euro (poiché, come ipotizzato, si tratta di un contribuente che ha aperto la partita IVA nel 2019, e pertanto in tale anno non ha ancora versato contribuzione), ma per il 2020 il valore da considerare è di euro 12.342, pari a 18.000 euro di reddito lordo meno 5.658 euro di contributi, che in questo caso, essendo portati in diminuzione direttamente in LM, vanno ad incidere sul contributo perequativo in quanto viene soddisfatto il requisito della diminuzione del risultato economico nella misura minima richiesta.
In conclusione, in un esempio come quello proposto il professionista in regime ordinario di determinazione del reddito è privo delle qualità di accesso al perequativo, mentre il secondo, in regime forfettario, è ammesso. Ipotizzando che si tratti di un soggetto che non ha goduto di alcun contributo a fondo perduto in precedenza, la somma spettante sarebbe pari ad euro 2.897,40, pari alla differenza tra i risultati rilevanti da quadro LM (ovvero euro 22.000 – 12.342, moltiplicato per l’aliquota CFP, che nello specifico è del 30%).
Vi è da dire che non sempre l’effetto distorsivo si verifica; pensiamo, infatti, al caso di un soggetto titolare di partita IVA da tempo, non iscritto alla gestione separata bensì all’artigianato o al commercio, e che abbia una redditività abbastanza costante ed entro i minimali. In questo caso il peso dei contributi portati in deduzione nel quadro LM potrebbe essere quasi irrilevante nel “gioco” del perequativo, poiché i valori esposti a titolo di contributi sarebbero costanti nel tempo.
Non così, invece, per un iscritto alla Gestione Separata, per il quale gli effetti paradossali potrebbero insorgere non solo nel caso limite di avvenuta apertura della partita IVA nel 2019, bensì sempre a causa dell’effetto onda che il meccanismo dei saldi e degli acconti comporta.
In conclusione, la spettanza del contributo a fondo perduto è, soprattutto per i professionisti iscritti alla Gestione Separata, particolarmente difficile da intuire, visto che l’impatto dei contributi previdenziali sui conteggi potrebbe andare a sovvertire quella che potrebbe essere una prima impressione basata sull’andamento dell’attività; di conseguenza, non resta che andare a verificare puntualmente il rigo LM 36 colonna 1, anche solo per avere un’idea di massima in ordine alla possibilità di accedere al perequativo.